I Golden State Warriors hanno provato negli ultimi giorni a trattenere Jonathan Kuminga, ma il congolese ha nuovamente respinto la loro proposta: due anni per 45 milioni di dollari.
La decisione, secondo diverse fonti, è legata soprattutto alla clausola di team option sul secondo anno e alla richiesta della franchigia di rinunciare alla no-trade clause implicita.
L’agente di Kuminga, Aaron Turner, durante la Summer League di Las Vegas ha presentato ai Warriors diverse soluzioni, tra cui un triennale da circa 82 milioni che avrebbe permesso alla squadra di restare sotto la soglia del second apron, mantenendo la possibilità di usare la taxpayer midlevel exception.
Nel frattempo, Kuminga e il suo entourage hanno sondato il mercato per una sign-and-trade, ricevendo particolare interesse da Sacramento Kings e Phoenix Suns.
Le offerte più concrete sono arrivate fino a un quadriennale da quasi 90 milioni complessivi, con player option per l’ultima stagione. Phoenix si sarebbe spinta oltre, proponendo il pacchetto economico più alto in assoluto tramite sign-and-trade.
I Warriors, però, non sono rimasti convinti dalle possibili contropartite e negli ultimi giorni avrebbero fatto capire di voler chiudere ogni trattativa di questo tipo, pronti a sfruttare fino in fondo la loro posizione di forza da restricted free agency (RFA) che consente a Golden State di pareggiare qualsiasi eventuale offerta in arrivo per Kuminga e trattenere il giocatore.
In sostanza, Golden State punta ad avere Kuminga a roster all’inizio della prossima stagione: o con il biennale già sul tavolo, oppure con la qualifying offer annuale da 7,9 milioni.
Kuminga preferisce le offerte di Kings e Suns perché garantirebbero più anni di contratto, un ruolo ben definito, il posto da titolare e maggiore controllo sul proprio futuro – incluso il diritto di scegliere se restare o meno grazie alla player option. Il pacchetto dei Suns, inoltre, garantirebbe quasi 70 milioni in più rispetto alla proposta Warriors.
Alla base dello stallo c’è una questione di controllo: per il giocatore, accettare il biennale con team option e senza diritto di veto sulle trade significherebbe lasciare troppo potere a una franchigia che – a suo avviso – ha frenato la sua crescita nelle ultime quattro stagioni.
Non a caso, Sacramento e Phoenix gli hanno promesso un ruolo chiaro, al contrario di quanto accaduto finora sotto coach Steve Kerr, che dopo la trade per Jimmy Butler ha ammesso le difficoltà di inserirlo stabilmente in quintetto accanto a Butler, Stephen Curry e Draymond Green.
Dal canto loro, i Warriors ritengono la loro offerta la migliore sul tavolo grazie allo stipendio iniziale più alto (21,7 milioni contro i 19,8 delle altre proposte) e alla struttura del contratto, studiata per essere scambiabile dal 15 gennaio.
Se Kuminga volesse comunque cambiare squadra, il nuovo team potrebbe rifiutare la team option ed estenderlo immediatamente. In caso di firma, diventerebbe il quarto giocatore più pagato del roster.
Golden State è l’unica squadra NBA a non aver ancora effettuato acquisizioni in questa offseason, proprio in attesa di una soluzione sul caso Kuminga. In base al CBA, la formula “uno più uno” proposta dai Warriors comporterebbe automaticamente una no-trade clause, dato che la squadra acquirente non manterrebbe i suoi Bird rights. Per questo, la dirigenza ha chiesto al giocatore di rinunciare alla clausola, come fece D’Angelo Russell con i Lakers nell’estate 2023.
La disputa, dunque, è un vero e proprio braccio di ferro per il controllo del futuro del giocatore. Nonostante il rischio economico, Kuminga starebbe valutando di firmare la qualifying offer: guadagnerebbe circa 14 milioni in meno nella prossima stagione, ma otterrebbe il veto sulle trade e la possibilità di diventare unrestricted free agent nell’estate 2026, a soli 23 anni.
La deadline per accettare la qualifying offer è fissata all’1 ottobre.